Il Diversity Brand Index punta a sensibilizzare le aziende in merito alla rilevanza etico-economica dell’inclusione. Diversity e Focus Management lavorano congiuntamente dal 2018 per affrontare la diversità a 360°, osservata attraverso la prospettiva dei brand e delle percezioni di consumatrici e consumatori. Integrando le percezioni del mercato finale, rilevate attraverso una CAWI realizzata a fine 2021, con le valutazioni di un Comitato Scientifico multi-ateneo ed internazionale e un Comitato Security Check, composto da esperte/i sulle singole forme di diversità, è stato calcolato il Diversity Brand Index 2022 (DBI 2022) per tutti i brand “nominati” dal mercato finale che hanno presentato i propri progetti e le proprie iniziative, ponendo in essere un percorso comparativo rispetto ai risultati del DBI 2018, 2019, 2020 e 2021. Dal 2021 Diversity Brand Index è divenuto anche un marchio di certificazione europeo che attesta l’impegno dei vari brand sulla D&I B2C e la capacità di comunicare questo impegno al mercato finale.
Actimel, Amazon, Barbie, Burger King, Coca-Cola, Decathlon, Diesel, Durex, Esselunga, Fastweb, Freeda, FS Italiane, Google, H&M, Ikea, L'Oréal, Netflix, Sorgenia, TIM e Vodafone compongono la TOP20 dei brand più inclusivi: marche capaci di comunicare all’esterno il proprio impegno reale per l’inclusione.
I risultati della ricerca sono di forte impatto sia in
termini assoluti che relativi, se comparati a quelli dell’anno precedente: il
77,5% della popolazione è maggiormente propenso verso i brand più inclusivi
(vs. 88% nel 2020, 63% nel 2019, 51% nel 2018 e 52% nel 2017). Cambia il
profilo delle consumatrici e dei consumatori, dove sembra mutare il trend della
polarizzazione, assumendo connotazioni meno esacerbate. L’unico cluster che
esprime disinteresse generale sul tema delle diversità, quello delle/degli
arrabbiate/i (22,5%), in questa edizione assume una connotazione
"2.0", con una nuova sensibilità sulla tematica dell'orientamento
sessuale e romantico e una minore ostilità alla D&I rispetto al passato,
cambiando sensibilmente il proprio profilo rispetto al passato. Pur in presenza
quindi di un cluster che vive la D&I come una minaccia, soprattutto nella
sua declinazione etnica e religiosa, quest'anno emerge un'apertura nei
confronti di altre forme di diversità che in passato erano assolutamente
rigettate.
Dal lato opposto, si osserva un'evoluzione interessante che
parte dalla riduzione del cluster delle/dei coinvolte/i (-18,9 p.p. rispetto
all'anno precedente), rappresentando oggi il 15,6% della popolazione italiana.
Le persone "fuoriuscite" da questo segmento alimentano 3 gruppi:
• aumentano
le/gli impegnate/i (+8,4 p.p.), diventando il cluster più numeroso con il
29,4%, confermando come l'impegno sulla D&I che necessariamente attraverso
consapevolezza e coinvolgimento;
• nasce un
nuovo gruppo, le/i Green (al 4,7%), ossia persone di base altruiste che si
mostrano familiari con i temi della diversità ma poco attive, con un'attenzione
verso il resto del Mondo e verso la dimensione ambientale e la sostenibilità;
• la
componente di età più bassa del segmento delle/dei convolte/i si sposta verso
il cluster delle/degli arrabbiate/i 2.0, evidenziando ancora una volta come il
COVID-19 abbiamo portato le fasce più giovani della popolazione a sentirsi più
sole e a vedere le persone vulnerabili come causa delle proprie limitazioni.
Restano pressoché stabili le/i consapevoli (15,2%, -0,5 p.p.
dalla precedente edizione), persone attente all’inclusione, ma non direttamente
coinvolte, mentre diminuiscono le/i “tribali” (12,6%, -3,8 p.p. rispetto al
2021), esplosi l'anno scorso in epoca COVID, persone tendenti
all'individualismo e attente ai temi della D&I, soprattutto nella loro
declinazione di orientamento sessuale e romantico, se coinvolgono il proprio
nucleo familiare. In un anno nel quale le restrizioni legate alla pandemia sono
diminuite, la dimensione "tribale" si è affievolita, determinando un
ridimensionamento di questo cluster ed uno spostamento del delta verso il
segmento delle/degli arrabbiate/i 2.0. Si può vedere in appendice il profilo
dei cluster.
Si conferma l’impatto positivo della D&I di un brand su
trust, loyalty, passaparola positivo e crescita aziendale: il gap in termini di
crescita dei ricavi tra un brand inclusivo ed una marca non inclusiva, infatti,
può superare il 23%, confermando il dato del 2020 e del 2019 (vs. 20% nel 2018
e 16,7% nel 2017), naturalmente a favore dell'azienda più inclusiva. I dati
relativi al passaparola colpiscono per la loro forza: le marche più inclusive
confermano una leadership assoluta con un NPS massimo pari all’86,5% (vs. 81,2%
del 2020, 89,8% del 2019, 85,1% nel 2018 e 70,8% nel 2017) che si contrappone
al
-90,9% (vs. -77,2% del 2020, -86% nel 2019, -81,8% nel 2018
e -43% nel 2017) dei brand non inclusivi. Torna ad aumentare il dato per i
brand più inclusivi a causa di una minore focalizzazione da parte dei brand sul
tema pandemico. I dati confermano come non ci siano sostanzialmente
controindicazioni nel parlare di inclusione al mercato finale. I brand
percepiti come inclusivi registrano un numero di detractor prossimo allo 0. La
scarsa inclusione percepita da consumatrici e consumatori, invece, genera un
numero detractor preponderante. I brand non inclusivi non ottengono infatti
promoter sul mercato. L’aumento anche del Net Promoter Score legato ai brand
percepiti come meno inclusivi è legato ad un maggiore affollamento dell’arena
competitiva dei brand attivi sul tema della D&I. Diminuisce (anche se
lentamente) il numero di brand percepiti come poco inclusivi. Oggi, quindi, per
spiccare sui temi D&I, occorre farlo in maniera più strutturata.
Rispetto alle edizioni passate, si evince come le aziende
abbiano continuato il percorso evolutivo sulla D&I, rivolgendosi
maggiormente all’esterno. La maggior maturità del mercato e l'acquisizione di
consapevolezza in merito all'importanza di questi temi da parte delle aziende
emergono dal trend registrato in questi 5 anni sulle tipologie di iniziative
messe a terra e candidate: è cresciuta la capacità delle aziende di
differenziare le attività di D&I interne rispetto a quelle esterne. Nei
primi anni del Diversity Brand Index i brand facevano fatica a tenere separati
i due piani. Ora, nella totale consapevolezza di una necessaria coerenza tra
interno ed esterno, le marche hanno compreso che il tema della D&I in una
prospettiva B2C vada affrontato con approcci specifici. I dati dimostrano
questa trasformazione: negli anni si è spostato il baricentro delle iniziative
candidate dall'interno (scese gradualmente dal 65% del 2017 al 17% del 2021)
all'esterno (salite all'83% nel 2021: 68% nel 2020 vs. 56% nel 2019, 48% nel
2018 e 35% nel 2017). Il mix è cambiato, anche alla luce delle minori
restrizioni del 2021 che hanno portato ad una minore spinta sulla
digitalizzazione delle customer experience diversity oriented. Cresce
sensibilmente l’impegno dei brand in termini di marketing locale, soprattutto
per innalzare la consapevolezza sulla diversità e l’inclusione. Tante marche
hanno collaborato con player locali (associazioni, scuole e così via) per
lavorare in maniera mirata sull’inclusione, replicando un medeimo concept in
diversi ambiti territoriali, cambiando di volta in volta il partner di
riferimento. Torna ad aumentare la componente di PR&Event che rispetto al
passato risulta maggiormente coerente e collegata con altre attività di
inclusione. Nelle edizioni precedenti si rilevava una penetrazione più alta di
attività sporadiche ed episodiche, poco strutturate.
Le aziende stanno cambiando il loro approccio alla D&I.
Un'evoluzione guidata dal mercato finale. I brand inseguono la sensibilità di
consumatrici e consumatori. Emerge tendenzialmente un comportamento reattivo
più che proattivo. Il mercato finale guida i brand nel percepire una maggiore
consapevolezza relativamente al proprio ruolo sociale. Le marche hanno capito
che è giunto il tempo di lavorare in maniera concreta sull'inclusione,
garantendo coerenza tra interno ed esterno, ma seguendo approcci differenziati.
Parlare di inclusione al team aziendale è diverso rispetto al comunicare la D&I
al mercato finale che vuole sempre più brand capaci di prendere una posizione e
riflettere i propri valori. Consumatrici e consumatori ricercano una fiducia
valoriale ed i brand capaci di raggiungerla saranno in una posizione di
assoluto vantaggio competitivo.
Il COVID-19 ha mutato le percezioni della popolazione sul
tema della D&I ed i comportamenti dei brand. La personalizzazione diversity
oriented, anche in chiave digitale, emerge ancora una volta come un driver di
scelta importante per il mercato (anche se un po’ trascurato dai brand nel
2021). Questo impegno viene percepito immediatamente da consumatrici e
consumatori, alimentando un flusso virtuoso che passa attraverso reputation,
fiducia, loyalty e Net Promoter Score. Le soluzioni diversity oriented
consentono ai brand di essere percepiti come più inclusivi, raggiungendo un NPS
pari al
+86,5%. Inoltre, è aumentato sensibilmente l’impatto delle
percezioni in termini di capacità inclusiva dei brand sulla scelta di acquisto,
dal punto di vista comportamentale. La fedeltà ha infatti due componenti: una
dimensione cognitiva che deriva dal percorso di valutazione dei dettagli della
marca, confermato in termini di potenza rispetto al passato (reputation, trust
e così via). C’è poi una componente comportamentale, più legata alla “pancia” e
all’istinto di consumatrici e consumatori. Questa dimensione di impulso risulta
potenziata nel Diversity Brand Index 2022 (circa 50% in più). Ciò dimostra come
la capacità dei brand di fare inclusione scateni una reazione emotiva immediata
nel mercato che si trasforma in scelte di acquisto. Questo slancio unito alla
componente più razionale porta consumatrici e consumatori ad essere davvero
fedeli ed ambassador della marca.
GLI ITALIANI E LA DIVERSITÀ
La popolazione italiana è stata suddivisa in gruppi omogenei
di categorie in merito a D&I:
Impegnat* (29,4%, +8,4 punti percentuali sull'anno
precedente): persone che dichiarano un elevato livello di coinvolgimento, a
seguito di altrettanto elevati livelli di familiarità e contatto con i temi
della diversità, soprattutto nelle dimensioni dell'orientamento sessuale e del
genere. Sono caratterizzat* da un egocentrismo estremamente basso ed uno
spiccato orientamento alla collettività. È il cluster più numeroso.
Coinvolt* (15,6%, -18,9 punti percentuali sull'anno
precedente): sentono una forte familiarità con il tema della diversità, anche
se non ne hanno contatto diretto (almeno percepito). D'altro canto, essendo
persone poco centrate sul proprio ego, si dichiarano coinvolte sulle tematiche
dell'inclusività e vivono la diversità con una forte componente emotiva.
Consapevoli (15,2%, -0,5 punti percentuali sull'anno
precedente): al contrario dei/delle coinvolti/e, hanno un maggior contatto
diretto con i temi della diversità, ma rimangono piuttosto fredd* sul tema, pur
essendo sensibili. Sono persone contenute da un punto di vista emotivo sulla
D&I, assumendo atteggiamenti molto razionali. Si presenta come il target
più adulto.
Tribali (12,6%, -3,8 punti percentuali sull'anno
precedente): sono persone vicine alla tematica delle diversità, sia in termini
di conoscenza teorica dell'argomento che di contatto diretto in situazioni a
essa legate, ma solo se la diversità riguarda/tocca la propria tribù, famiglia
o cerchia ristretta. Questo cluster si mostra molto attento a tutte le
tematiche della diversità che riguarda le persone vicine ed in particolar modo
ai temi dell'orientamento sessuale e romantico.
Green (NEW CLUSTER: 4,7%): si mostrano familiari con i temi
della diversità ma poco attiv* e non molto schierat*. Tuttavia, l'attenzione
verso le altre/gli altri e verso la sostenibilità ambientale è estremamente
forte. Costituiscono il cluster più piccolo dell'indagine, con la compagine
femminile più elevata, ma si affermano come il segmento più etico per il quale
le tematiche Green e D&I vanno di pari passo.
Arrabbiat* 2.0 (NEW CLUSTER: 22,5%): questo cluster
rappresenta una "evoluzione" rispetto a quello dell'anno precedente.
Dichiara bassi livelli di contatto e familiarità con quasi tutte le dimensioni
dell’inclusività (ma in aumento rispetto agli anni precedenti), sebbene si
percepisca invece estremamente sensibile ai temi dell'orientamento sessuale e
affettivo. L'età media di questo cluster è la più bassa del campione,
presentando allo stesso tempo anche la componente maschile percentuale più
elevata.