Diversity Brand Index 2023: Inclusione e diversità

21 marzo 2023
I brand sono sempre più cosci dell’importanza dell’inclusività per essere percepiti positivamente dai clienti.

Il Diversity Brand Index punta a sensibilizzare le aziende in merito alla rilevanza etico-economica dell’inclusione. Diversity e Focus Management lavorano congiuntamente dal 2018 per affrontare la diversità a 360°, osservata attraverso la prospettiva dei brand e delle percezioni di consumatrici e consumatori. Integrando le percezioni del mercato finale, rilevate attraverso una CAWI realizzata a fine 2021, con le valutazioni di un Comitato Scientifico multi-ateneo ed internazionale e un Comitato Security Check, composto da esperte/i sulle singole forme di diversità, è stato calcolato il Diversity Brand Index 2022 (DBI 2022) per tutti i brand “nominati” dal mercato finale che hanno presentato i propri progetti e le proprie iniziative, ponendo in essere un percorso comparativo rispetto ai risultati del DBI 2018, 2019, 2020 e 2021. Dal 2021 Diversity Brand Index è divenuto anche un marchio di certificazione europeo che attesta l’impegno dei vari brand sulla D&I B2C e la capacità di comunicare questo impegno al mercato finale.

Actimel, Amazon, Barbie, Burger King, Coca-Cola, Decathlon, Diesel, Durex, Esselunga, Fastweb, Freeda, FS Italiane, Google, H&M, Ikea, L'Oréal, Netflix, Sorgenia, TIM e Vodafone compongono la TOP20 dei brand più inclusivi: marche capaci di comunicare all’esterno il proprio impegno reale per l’inclusione.

I risultati della ricerca sono di forte impatto sia in termini assoluti che relativi, se comparati a quelli dell’anno precedente: il 77,5% della popolazione è maggiormente propenso verso i brand più inclusivi (vs. 88% nel 2020, 63% nel 2019, 51% nel 2018 e 52% nel 2017). Cambia il profilo delle consumatrici e dei consumatori, dove sembra mutare il trend della polarizzazione, assumendo connotazioni meno esacerbate. L’unico cluster che esprime disinteresse generale sul tema delle diversità, quello delle/degli arrabbiate/i (22,5%), in questa edizione assume una connotazione "2.0", con una nuova sensibilità sulla tematica dell'orientamento sessuale e romantico e una minore ostilità alla D&I rispetto al passato, cambiando sensibilmente il proprio profilo rispetto al passato. Pur in presenza quindi di un cluster che vive la D&I come una minaccia, soprattutto nella sua declinazione etnica e religiosa, quest'anno emerge un'apertura nei confronti di altre forme di diversità che in passato erano assolutamente rigettate.

Dal lato opposto, si osserva un'evoluzione interessante che parte dalla riduzione del cluster delle/dei coinvolte/i (-18,9 p.p. rispetto all'anno precedente), rappresentando oggi il 15,6% della popolazione italiana. Le persone "fuoriuscite" da questo segmento alimentano 3 gruppi:

 

             aumentano le/gli impegnate/i (+8,4 p.p.), diventando il cluster più numeroso con il 29,4%, confermando come l'impegno sulla D&I che necessariamente attraverso consapevolezza e coinvolgimento;

             nasce un nuovo gruppo, le/i Green (al 4,7%), ossia persone di base altruiste che si mostrano familiari con i temi della diversità ma poco attive, con un'attenzione verso il resto del Mondo e verso la dimensione ambientale e la sostenibilità;

             la componente di età più bassa del segmento delle/dei convolte/i si sposta verso il cluster delle/degli arrabbiate/i 2.0, evidenziando ancora una volta come il COVID-19 abbiamo portato le fasce più giovani della popolazione a sentirsi più sole e a vedere le persone vulnerabili come causa delle proprie limitazioni.

 

Restano pressoché stabili le/i consapevoli (15,2%, -0,5 p.p. dalla precedente edizione), persone attente all’inclusione, ma non direttamente coinvolte, mentre diminuiscono le/i “tribali” (12,6%, -3,8 p.p. rispetto al 2021), esplosi l'anno scorso in epoca COVID, persone tendenti all'individualismo e attente ai temi della D&I, soprattutto nella loro declinazione di orientamento sessuale e romantico, se coinvolgono il proprio nucleo familiare. In un anno nel quale le restrizioni legate alla pandemia sono diminuite, la dimensione "tribale" si è affievolita, determinando un ridimensionamento di questo cluster ed uno spostamento del delta verso il segmento delle/degli arrabbiate/i 2.0. Si può vedere in appendice il profilo dei cluster.

 

Si conferma l’impatto positivo della D&I di un brand su trust, loyalty, passaparola positivo e crescita aziendale: il gap in termini di crescita dei ricavi tra un brand inclusivo ed una marca non inclusiva, infatti, può superare il 23%, confermando il dato del 2020 e del 2019 (vs. 20% nel 2018 e 16,7% nel 2017), naturalmente a favore dell'azienda più inclusiva. I dati relativi al passaparola colpiscono per la loro forza: le marche più inclusive confermano una leadership assoluta con un NPS massimo pari all’86,5% (vs. 81,2% del 2020, 89,8% del 2019, 85,1% nel 2018 e 70,8% nel 2017) che si contrappone al

-90,9% (vs. -77,2% del 2020, -86% nel 2019, -81,8% nel 2018 e -43% nel 2017) dei brand non inclusivi. Torna ad aumentare il dato per i brand più inclusivi a causa di una minore focalizzazione da parte dei brand sul tema pandemico. I dati confermano come non ci siano sostanzialmente controindicazioni nel parlare di inclusione al mercato finale. I brand percepiti come inclusivi registrano un numero di detractor prossimo allo 0. La scarsa inclusione percepita da consumatrici e consumatori, invece, genera un numero detractor preponderante. I brand non inclusivi non ottengono infatti promoter sul mercato. L’aumento anche del Net Promoter Score legato ai brand percepiti come meno inclusivi è legato ad un maggiore affollamento dell’arena competitiva dei brand attivi sul tema della D&I. Diminuisce (anche se lentamente) il numero di brand percepiti come poco inclusivi. Oggi, quindi, per spiccare sui temi D&I, occorre farlo in maniera più strutturata.

Rispetto alle edizioni passate, si evince come le aziende abbiano continuato il percorso evolutivo sulla D&I, rivolgendosi maggiormente all’esterno. La maggior maturità del mercato e l'acquisizione di consapevolezza in merito all'importanza di questi temi da parte delle aziende emergono dal trend registrato in questi 5 anni sulle tipologie di iniziative messe a terra e candidate: è cresciuta la capacità delle aziende di differenziare le attività di D&I interne rispetto a quelle esterne. Nei primi anni del Diversity Brand Index i brand facevano fatica a tenere separati i due piani. Ora, nella totale consapevolezza di una necessaria coerenza tra interno ed esterno, le marche hanno compreso che il tema della D&I in una prospettiva B2C vada affrontato con approcci specifici. I dati dimostrano questa trasformazione: negli anni si è spostato il baricentro delle iniziative candidate dall'interno (scese gradualmente dal 65% del 2017 al 17% del 2021) all'esterno (salite all'83% nel 2021: 68% nel 2020 vs. 56% nel 2019, 48% nel 2018 e 35% nel 2017). Il mix è cambiato, anche alla luce delle minori restrizioni del 2021 che hanno portato ad una minore spinta sulla digitalizzazione delle customer experience diversity oriented. Cresce sensibilmente l’impegno dei brand in termini di marketing locale, soprattutto per innalzare la consapevolezza sulla diversità e l’inclusione. Tante marche hanno collaborato con player locali (associazioni, scuole e così via) per lavorare in maniera mirata sull’inclusione, replicando un medeimo concept in diversi ambiti territoriali, cambiando di volta in volta il partner di riferimento. Torna ad aumentare la componente di PR&Event che rispetto al passato risulta maggiormente coerente e collegata con altre attività di inclusione. Nelle edizioni precedenti si rilevava una penetrazione più alta di attività sporadiche ed episodiche, poco strutturate.

Le aziende stanno cambiando il loro approccio alla D&I. Un'evoluzione guidata dal mercato finale. I brand inseguono la sensibilità di consumatrici e consumatori. Emerge tendenzialmente un comportamento reattivo più che proattivo. Il mercato finale guida i brand nel percepire una maggiore consapevolezza relativamente al proprio ruolo sociale. Le marche hanno capito che è giunto il tempo di lavorare in maniera concreta sull'inclusione, garantendo coerenza tra interno ed esterno, ma seguendo approcci differenziati. Parlare di inclusione al team aziendale è diverso rispetto al comunicare la D&I al mercato finale che vuole sempre più brand capaci di prendere una posizione e riflettere i propri valori. Consumatrici e consumatori ricercano una fiducia valoriale ed i brand capaci di raggiungerla saranno in una posizione di assoluto vantaggio competitivo.

Il COVID-19 ha mutato le percezioni della popolazione sul tema della D&I ed i comportamenti dei brand. La personalizzazione diversity oriented, anche in chiave digitale, emerge ancora una volta come un driver di scelta importante per il mercato (anche se un po’ trascurato dai brand nel 2021). Questo impegno viene percepito immediatamente da consumatrici e consumatori, alimentando un flusso virtuoso che passa attraverso reputation, fiducia, loyalty e Net Promoter Score. Le soluzioni diversity oriented consentono ai brand di essere percepiti come più inclusivi, raggiungendo un NPS pari al

+86,5%. Inoltre, è aumentato sensibilmente l’impatto delle percezioni in termini di capacità inclusiva dei brand sulla scelta di acquisto, dal punto di vista comportamentale. La fedeltà ha infatti due componenti: una dimensione cognitiva che deriva dal percorso di valutazione dei dettagli della marca, confermato in termini di potenza rispetto al passato (reputation, trust e così via). C’è poi una componente comportamentale, più legata alla “pancia” e all’istinto di consumatrici e consumatori. Questa dimensione di impulso risulta potenziata nel Diversity Brand Index 2022 (circa 50% in più). Ciò dimostra come la capacità dei brand di fare inclusione scateni una reazione emotiva immediata nel mercato che si trasforma in scelte di acquisto. Questo slancio unito alla componente più razionale porta consumatrici e consumatori ad essere davvero fedeli ed ambassador della marca.

 

 

GLI ITALIANI E LA DIVERSITÀ

La popolazione italiana è stata suddivisa in gruppi omogenei di categorie in merito a D&I:

Impegnat* (29,4%, +8,4 punti percentuali sull'anno precedente): persone che dichiarano un elevato livello di coinvolgimento, a seguito di altrettanto elevati livelli di familiarità e contatto con i temi della diversità, soprattutto nelle dimensioni dell'orientamento sessuale e del genere. Sono caratterizzat* da un egocentrismo estremamente basso ed uno spiccato orientamento alla collettività. È il cluster più numeroso.

 

Coinvolt* (15,6%, -18,9 punti percentuali sull'anno precedente): sentono una forte familiarità con il tema della diversità, anche se non ne hanno contatto diretto (almeno percepito). D'altro canto, essendo persone poco centrate sul proprio ego, si dichiarano coinvolte sulle tematiche dell'inclusività e vivono la diversità con una forte componente emotiva.

 

Consapevoli (15,2%, -0,5 punti percentuali sull'anno precedente): al contrario dei/delle coinvolti/e, hanno un maggior contatto diretto con i temi della diversità, ma rimangono piuttosto fredd* sul tema, pur essendo sensibili. Sono persone contenute da un punto di vista emotivo sulla D&I, assumendo atteggiamenti molto razionali. Si presenta come il target più adulto.

 

Tribali (12,6%, -3,8 punti percentuali sull'anno precedente): sono persone vicine alla tematica delle diversità, sia in termini di conoscenza teorica dell'argomento che di contatto diretto in situazioni a essa legate, ma solo se la diversità riguarda/tocca la propria tribù, famiglia o cerchia ristretta. Questo cluster si mostra molto attento a tutte le tematiche della diversità che riguarda le persone vicine ed in particolar modo ai temi dell'orientamento sessuale e romantico.

 

Green (NEW CLUSTER: 4,7%): si mostrano familiari con i temi della diversità ma poco attiv* e non molto schierat*. Tuttavia, l'attenzione verso le altre/gli altri e verso la sostenibilità ambientale è estremamente forte. Costituiscono il cluster più piccolo dell'indagine, con la compagine femminile più elevata, ma si affermano come il segmento più etico per il quale le tematiche Green e D&I vanno di pari passo.

 

Arrabbiat* 2.0 (NEW CLUSTER: 22,5%): questo cluster rappresenta una "evoluzione" rispetto a quello dell'anno precedente. Dichiara bassi livelli di contatto e familiarità con quasi tutte le dimensioni dell’inclusività (ma in aumento rispetto agli anni precedenti), sebbene si percepisca invece estremamente sensibile ai temi dell'orientamento sessuale e affettivo. L'età media di questo cluster è la più bassa del campione, presentando allo stesso tempo anche la componente maschile percentuale più elevata.

Tags: INCLUSIVITY
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